- Deve considerarsi negligente e quindi, in virtù del disposto dell'art. 1227, 2° comma, c.c., ostativa al riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni subiti, la condotta dell'imprenditore che non assicuri l'autovettura aziendale con una polizza idonea a garantire il ristoro di tutti i danni anche nell'ipotesi in cui l'evento lesivo sia riconducibile al comportamento colposo del proprio dipendente, che utilizzi l'autovettura aziendale, pur senza esserne autorizzato, per motivi personali (Trib. Padova 4/6/2001, pres. e est. Balletti, in Lavoro giur. 2001, pag. 1161, con nota di Venditti, Danni del dipendente da circolazione stradale, negligenza del datore di lavoro e attribuzione della responsabilità)
- Ai sensi dell'art. 2049 c.c. il datore di lavoro è civilmente responsabile nei confronti del proprio dipendente dei danni provocategli da fatto delittuoso commesso, in orario ed ambiente di lavoro, da altro dipendente e superiore gerarchico del primo, dovendosi ritenere sussistente un nesso di causalità tra l'esercizio delle incombenze affidate all'autore del fatto ed il fatto medesimo nel senso che le mansioni affidate a questi hanno reso possibile o comunque agevolato il comportamento dannoso. (Trib. Milano 9/5/2003, Est. Ianniello, in Lav. nella giur. 2003, 1176)
- L’onere di ordinaria diligenza richiesto ex art. 1227, 2° comma, c.c. al creditore per limitare il danno da inadempimento va esteso anche a quei comportamenti positivi attraverso cui il danno possa essere evitato o ridotto con certezza; pertanto, qualora la prestazione richiesta al lavoratore dipendente comporti, per la peculiare natura dell’attività d’impresa, elevati rischi economici per il datore di lavoro, non è conforme al principio generale di equilibrio contrattuale porre a carico del dipendente le conseguenze di natura patrimoniale dei suoi comportamenti colposi, quando a ciò possa essere posto un rimedio preventivo consistente nella stipula di una polizza adeguata. (Nel caso di specie il Tribunale ha negato la risarcibilità del danno causato dal conducente a un automezzo e al relativo carico, in quanto la datrice di lavoro, esercitante l’attività imprenditoriale di trasporto su strada, non aveva stipulato una polizza assicurativa c.d. "kasko", adeguata a coprire l’intero rischio connesso all’attività d’impresa svolta) (Trib. Rovereto 16/3/98, pres. ed est. Di Fazio, in D&L 1998, 1013)
- Il danno allegato dal lavoratore che ha subito una illegittima turnazione deve essere risarcito anche laddove manchi la prova in concreto del pregiudizio riportato, essendo esso intrinseco all'incertezza sulla possibilità di fruire del tempo libero. Il danno da illegittima turnazione può essere quantificato in una percentuale della retribuzione mensile percepita dalla lavoratrice, da determinarsi in relazione a diversi fattori tra i quali l'assenza del consenso dell'interessata alla turnazione e l'esistenza di pregresse contestazioni da parte della lavoratrice in merito alla maggior penosità della prestazione ad essa richiesta in violazione della normativa sul part-time.
Il risarcimento del danno da illegittima turnazione ha natura extracontrattuale e si prescrive in cinque anni. (Trib. Milano 16/7/2002, Est. Mascarello, in D&L 2003, 118, con nota di "Illegittima turnazione nel part-time: accordi collettivi e danni") - In caso di premio aziendale legato alle voci di bilancio, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno morale e patrimoniale a carico degli amministratori della società datrice di lavoro che siano stati condannati con sentenza penale definitiva per falso in bilancio, sempre che sia accertato un nesso di causalità tra la diminuzione del premio ed il falso in bilancio. (Trib. Torino 23/12/2002, Est. Tarnagnone Boerio, in D&L 2003, 372, con nota di Alba Civitelli, "Parte variabile della retribuzione e tutela dei lavoratori")
- È infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2059 c.c. sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. per irragionevole contrasto con il principio di parità delle giurisdizioni, civile e penale, nella parte in cui escluderebbe la risarcibilità del danno non patrimoniale allorchè la responsabilità dell'autore del fatto, corrispondente ad una fattispecie astratta di reato, venga affermata in base ad una presunzione di legge. Infatti l'art. 2059 c.c. deve essere interpretato nel senso che il danno non patrimoniale sia risarcibile anche quando la colpa dell'autore del fatto risulti da una presunzione di legge. (Corte Cost. 11/7/2003 n. 233, Pres. Chieppa Rel. Marini, in D&L 2003, 910, con nota di Alberto Guariso-Giovanni Paganuzzi, "La svolta sul danno non patrimoniale alla prova del diritto del lavoro")
- L'inosservanza da parte del datore di lavoro di una decisione del giudice del lavoro attuata mediante atti pregiudizievoli per il lavoratore integra l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 388 c.p. e comporta quindi un risarcimento a favore di quest'ultimo dei danni subiti. (Trib. Milano 30/7/2002, Est. Peragallo, in D&L 2002, 1055, con nota di chele Di Lecce, "Ancora sulla mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice")
- In ipotesi di infortunio sul lavoro in relazione al quale sia stata accertata la responsabilità datoriale, compete al lavoratore, per le lesioni dell'integrità psicofisica subite, sia il risarcimento del danno biologico, sia il risarcimento del danno morale, sia il risarcimento del danno esistenziale, inteso quale modificazione peggiorativa della qualità della vita, patita dalla vittima a conseguenza dell'infortunio, in relazione alla menomazione delle possibilità di esplicazione della propria individualità e personalità.
In ipotesi di infortunio sul lavoro da cui siano derivate lesioni dell'integrità psicofisica del lavoratore, il risarcimento del danno esistenziale in aggiunta al risarcimento del danno morale e biologico non costituisce ingiustificata duplicazione delle voci di danno, in quanto il danno esistenziale differisce sia dal danno morale che dal danno biologico. Dal danno morale, in quanto il danno esistenziale si traduce nell'impossibilità di svolgere precedenti attività quotidiane realizzatrici della propria personalità, mentre il danno morale attiene alle sofferenze fisiche e morali patite a cagione dell'altrui comportamento; dal danno biologico, in quanto tale voce di danno concerne le sole lesioni dell'integrità psicofisica suscettibili di accertamento medico legale, mentre il danno esistenziale riguarda le limitazioni subite dall'attività realizzatrice della propria personalità a conseguenza della condotta illecita altrui. (Trib. Parma 17/4/2003, Est. Brusati, in D&L 2003, 668, con nota di Giampaolo Tagliagambe, "Risarcibilità cumulativa del danno biologico e del danno esistenziale in ipotesi di lesioni dell'integrità psicofisica") - La lesione della personalità morale del dipendente costituisce violazione dell'art. 2087 c.c. e dà luogo ad un danno esistenziale, la cui nozione è distinta da quella del danno biologico, che presuppone un pregiudizio alla salute fisica o psichica, e da quella del danno morale, che consegue quando il fatto lesivo costituisce ipotesi di reato; l'ammontare del danno esistenziale è quantificabile in via equitativa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2056 e 1226 (nella fattispecie, affermata la lesione della personalità morale della dipendente che aveva subito molestie sessuali, il datore di lavoro ed il molestatore sono stati condannati in solido al risarcimento del danno esistenziale, quantificato in via equitativa in L. 30 milioni, utilizzando il parametro delle quindici mensilità previsto in caso di licenziamento; il solo molestatore è stato inoltre condannato al risarcimento del danno morale, quantificato in L. 15 milioni). (Trib. Pisa 6/10/2001, Est. Nisticò, in D&L 2002, 126)
- L'utilizzazione da parte del datore di lavoro dell'immagine del proprio dipendente che a tal fine non lo abbia espressamente autorizzato costituisce condotta illegittima per violazione degli artt. 10 e 2043 c.c. e fonda il diritto del dipendente ad ottenere il risarcimento del danno extracontrattuale non patrimoniale; tale danno rientra nella categoria del danno esistenziale da intendersi come danno riferibile ad ogni lesione di diritti fondamentali della persona e deve essere liquidato in via equitativa (nella specie l'Amministrazione comunale datrice di lavoro aveva predisposto una riproduzione a grandezza naturale di un dipendente vigile urbano e l'aveva esposta in alcuni punti della città, con finalità di prevenzione delle infrazioni nelle ore notturne). L'utilizzazione da parte del datore di lavoro dell'immagine del proprio dipendente nell'atto di svolgere le sue ordinarie mansioni costituisce violazione dell'art. 2087 c.c. in quanto lede la dignità professionale dello stesso e ne fonda il diritto ad ottenere il risarcimento del danno contrattuale non patrimoniale; tale danno rientra nella categoria del danno esistenziale e deve essere liquidato in via equitativa utilizzando come parametro la retribuzione mensile che il datore di lavoro avrebbe erogato ove avesse utilizzato, in luogo dell'immagine, la persona fisica del dipendente. La competenza funzionale del Giudice del lavoro sussiste in ordine all'accertamento della sola responsabilità contrattuale del datore di lavoro nei confronti del dipendente e non anche di quella extracontrattuale; ma qualora concorrano entrambi i titoli di responsabilità detta competenza sussiste per tutta la materia in forza del principio di specialità. (Trib. Forlì 9/10/2002, Est. Sorgi, in D&L 2002, 915)
- Con riferimento al danno morale derivante da infortunio sul lavoro, grava sul lavoratore l'onere di provare la colpa del datore di lavoro nella commissione del fatto illecito costituente inadempimento dell'obbligo di sicurezza statuito dall'art. 2087 c.c., non essendo applicabile la presunzione legale di colpa di cui all'art. 1218 c.c. a fattispecie che presuppongono la responsabilità penale del datore di lavoro. (Cass. 26/10/2002, n.15133, Pres. Senese, Est. De Luca, in Foro it. 2003, parte prima, 505)
- Ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.), l'inesistenza di una pronuncia del giudice penale, nei termini in cui ha efficacia di giudicato nel processo civile a norma degli artt. 651 e 652 c.p.p., comporta che il giudice civile possa accertare "incidenter tantum" l'esistenza del reato - nel caso di ingiuria, riscontrato insussistente in sede di merito - nei suoi elementi obiettivi e soggettivi, individuando l'autore, procedendo al relativo accertamento nel rispetto dei canoni della legge penale (cfr. ex multis Cass. 14/2/00, n. 1643) (Cass. 6/11/00, n. 14443, pres. Trezza, in Lavoro e prev. oggi 2000, pag. 2287)
- Le parole presuntuoso, sleale, arrogante, espressa da un superiore gerarchico, ancorché inserite in un rapporto volto ad esprimere le qualità morali ed il carattere del dipendente, hanno nell'accezione comune connotazioni offensive, le quali, soprattutto in atti ufficiali, devono essere risparmiate fin dove possibile. La forma è infatti decisiva a far accettare inevitabili giudizi spiacevoli e, quindi, la tenuta dei rapporti in quella difficile comunità che è l'ambiente di lavoro. Ne consegue il diritto del lavoratore al risarcimento del danno morale derivante dal fatto-reato. (Corte d'appello Milano 23/7/2002, Est. De Angelis, in Lav. nella giur. 2003, 187)
- L'offesa della personalità morale del dipendente, attuata dal datore di lavoro direttamente o da un suo esposto, dà luogo a una sofferenza morale, che è fonte di obbligazione risarcitoria per responsabilità sia aquiliana, sia contrattuale ex art. 2087 c.c. (Trib. Milano 2 novembre 1999, est. Frattin, in D&L 2000, 373, n. Mazzone, Lesione di beni immateriali e poteri del Giudice)
- Non sono risarcibili i danni morali ai congiunti del danneggiato in caso di lesioni anche gravissime. Detto orientamento si basa sul riferimento all'art. 1223 c.c. che esclude la risarcibilità dei danni indiretti, osservando al riguardo che la lesione fa soffrire immediatamente e direttamente il danneggiato e solo in via mediata e indiretta i suoi congiunti (Cass. 23/2/99, n. 2037, pres. Grieco, in Riv. Giur. Lav. 2000, pag. 468, con nota di Guerra, Riflessioni sul danno biologico. Spunti critici in tema di risarcibilità del danno biologico iure hereditatis (o successionis) e iure proprio)
- In caso di compromissione dell'ambiente a seguito di disastro colposo (art. 449 c.p.), il danno morale soggettivo lamentato dai soggetti che si trovano in una particolare situazione (in quanto abitano e/o lavorano in detto ambiente) e che provino in concreto di avere subito un turbamento psichico (sofferenza e patemi d'animo) di natura transitoria a causa dell'esposizione a sostanze inquinanti ed alle conseguenti limitazioni del normale svolgimento della loro vita, è risarcibile autonomamente anche in mancanza di una lesione all'integrità psico-fisica (danno biologico) o di altro evento produttivo di danno patrimoniale, trattandosi di reato plurioffensivo che comporta, oltre all'offesa all'ambiente ed alla pubblica incolumità, anche l'offesa ai singoli, pregiudicati nella loro sfera individuale. Il danno morale può intendersi provato se il danneggiato sia rimasto coinvolto in un grave clima di allarme prodotto da un disastro, riportandone un perturbamento psichico che fu conseguenza della sottoposizione a controlli sanitari, resi necessari dall'insorgenza di sintomi preoccupanti. Gli accertamenti sanitari, se numerosi e documentati, se non valgono a dimostrare danni nella sfera della salute causalmente accertati, depongono a confermare quello stato di perturbamento psichico, da disagio e preoccupazione duraturi nel tempo, che è l'essenza del danno morale (fattispecie di residente in territorio del Comune di Severo di danni richiesti in relazione ad episodio di disastro ambientale). (Cass. S.U. 21/2/02, n. 2515, pres. Marvulli, est. Varrone, in Lavoro e prev. oggi 2002, pag. 579)
- Ove un'illegittima sanzione disciplinare sia risultata lesiva dell'immagine professionale del dipendente all'esterno dell'azienda, il datore di lavoro è tenuto al relativo risarcimento del danno, desumibile in via equitativa. (Trib. Milano 2/5/2002, Est. Peragallo, in D&L 2002, 659)
- Il danno alla professionalità attiene alla lesione di un interesse costituzionalmente protetto dall'art. 2 della Costituzione, avente ad oggetto il diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro secondo le mansioni e con la qualifica spettantegli per legge o per contratto, con la conseguenza che i provvedimenti del datore di lavoro che illegittimamente ledano tale diritto vengono immancabilmente a ledere l'immagine professionale e la vita di relazione del lavoratore, sia in tema di autostima e di eterostima nell'ambiente di lavoro ed in quello socio familiare, sia in termini di perdita di chances per futuri lavori di pari livello. La valutazione di siffatto pregiudizio, per sua natura privo della caratteristica della patrimonialità, non può essere effettuata dal giudice che alla stregua di un parametro equitativo. (Cass. 26/5/2004 n. 10157, Pres. Senese Est. D'Agostino, in D&L 2004, 343)
- Il segretario comunale illegittimamente rimosso da un'Amministrazione comunale che sia stato successivamente collocato in disponibilità da parte dell'Agenzia autonoma per la gestione dei segretari comunali e provinciali ed abbia da questa ottenuto incarichi di reggenza in comuni di fascia inferiore a quello originario, ivi svolgendovi mansioni più semplici, ha diritto al risarcimento del danno alla professionalità ed all'immagine, dovendosi considerare la lesione del prestigio di cui il segretario gode dentro e fuori l'ambiente lavorativo in ragione delle funzioni esercitate. (Trib. Voghera 15/1/2004, Est. Dossi, in D&L 2004, 98)
- La divulgazione a terzi, da parte dell'amministrazione datrice di lavoro, di una contestazione disciplinare, oltretutto non seguita da pari divulgazione del provvedimento di archiviazione del procedimento disciplinare con essa iniziato, lede il diritto di difesa e l'immagine professionale e pubblica del dipendente, in violazione dell'art. 2087 c.c.; il relativo danno deve essere liquidato in via equitativa tenendo conto della posizione lavorativa occupata dal danneggiato e della rilevanza pubblica delle mansioni svolte. (Trib. Milano 21/8/2002, Est. Santosuosso, in D&L 2002, 916, con nota di Maddalena Martina, "Nuovi danni nell'ambito del rapporto di lavoro: breve rassegna di giurisprudenza")
E. Responsabilità del lavoratore
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Pur non potendosi escludere in linea di principio che le parti, sia individualmente che collettivamente, possano autonomamente disciplinare la ripartizione dell'onere della prova in riferimento ai danni cagionati dal lavoratore alle cose di proprietà del datore di lavoro e da questo consegnategli per lo svolgimento della prestazione lavorativa, va cassata con rinvio la sentenza del giudice di merito che abbia disposto il risarcimento dei danni causati dal conducente di autolinee all'autobus della società datrice di lavoro ritenendolo custode consegnatario del bene, senza accertare l'effettiva sussistenza della volontà delle parti di derogare ai principi del codice di procedura civile in materia di ripartizione dell'onere della prova nel rapporto di lavoro e di obbligo di diligenza nell'esecuzione della prestazione, in relazione alle clausole del contratto collettivo di categoria (Cass. 11/12/99, n. 13891, pres. D'Angelo, est. Capitanio, in Dir. lav. 2001, pag. 16, con nota di D'Aponte, Violazione dei doveri di diligenza, responsabilità del lavoratore e ripartizione dell'onere della prova)
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La violazione da parte del lavoratore degli obblighi di fedeltà e diligenza comporta, oltre all'applicabilità di sanzioni disciplinari, l'insorgere del diritto al risarcimento del danno; tuttavia, l'inadempimento colposo delle obbligazioni contrattuali non può essere presunto sulla base della prova del venir meno dell'elemento fiduciario, ma deve essere autonomamente e concretamente dimostrato (Cass. 26/6/00, n. 8702, pres. Amirante, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 292, con nota di Conte, Licenziamento disciplinare e obblighi risarcitori: poteri del giudice e oneri delle parti)
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La costituzione di società concorrente del datore di lavoro, attuata da dipendenti in costanza di rapporto, non dà luogo a violazione dell’art. 2105 c.c. qualora – per le circostanze di tempo della costituzione (quasi contemporanea alla cessazione dei rapporti) e per l’oggetto dell’attività sociale (concernente un settore che il datore aveva sostanzialmente smantellato) – non risultino all’epoca programmati atti ulteriori rispetto al solo inserimento dei dipendenti nella nuova società (Trib. Milano 17/4/99, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1999, 588)
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Ai fini della richiesta di risarcimento del danno fondata sulla responsabilità contrattuale per inadempimento proposta nei confronti di un proprio dipendente, il datore di lavoro non deve rispettare le procedure richieste dall'art. 7 SL, posto che le garanzie previste da detto articolo sono intese a delimitare l'unilaterale esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro, e che pertanto non hanno ragione di essere invocate quando - come nell'ipotesi di ordinaria azione di responsabilità per inadempimento ai sensi dell'art 1218 c.c. - l'accertamento della responsabilità e gli strumenti di decisione e irrogazione delle sanzioni sono sottratti al potere unilaterale del privato e affidati al giudice (Cass. sez. lav. 15 novembre 1999 n. 12631, pres. Amirante, est. Coletti, in D&L 2000, 415)
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In tema di risarcimento del danno il lucro cessante deve essere risarcito tenendo nella dovuta considerazione anche la qualità professionale del creditore (nel caso di specie, posto che l'avente diritto al risarcimento era un istituto bancario, la Suprema Corte ha ritenuto che - a fronte dell'illegittima concessione di un fido da parte di un proprio dipendente - la perdita subita per il mancato guadagno dovesse tenere conto dell'impiego che la banca avrebbe fatto del denaro ove non fosse stato illegittimamente sottratto) (Cass. sez. lav. 15 novembre 1999 n. 12631, pres. Amirante, est. Coletti, in D&L 2000, 415)
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Il lavoratore che abbia avuto in consegna dal datore di lavoro, per l'espletamento della prestazione lavorativa, una cosa di proprietà del datore di lavoro risponde del danneggiamento della cosa stessa a titolo di responsabilità contrattuale e, precisamente, a titolo di inadempimento dell'obbligo di diligenza nell'esecuzione della prestazione di lavoro. Ai fini della affermazione della relativa responsabilità normalmente incombe sul datore di lavoro l'onere di fornire la prova che l'evento dannoso che ha pregiudicato la cosa consegnata sia da riconnettere ad una condotta colposa del lavoratore per violazione degli obblighi di diligenza e sia in rapporto di derivazione causale da tale condotta. Peraltro le parti, sia individualmente sia collettivamente, possono disciplinare la ripartizione dell'onere della prova diversamente (fattispecie relativa all'art. 67 c.c.n.l. autoferrotranvieri - t.u. 23/7/76) (Cass. 11/12/99 n. 13891, pres. D'Angelo, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 413)
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